Un epidemiologo nella Londra di Dickens
- 16 Feb 2008 alle 09:49:00

John Snow e la vera storia del colera a Londra
Tom Jefferson
Il Pensiero Scientifico, 2007
pp. 132, euro 22
Nella prima metà del 1800, ai tempi della regina Vittoria, a Londra e in tutta Europa, infuriavano epidemie di colera.
Circa le cause della malattia la maggioranza dei sanitari era “anticontagionista” e riteneva che i cattivi odori fossero causa di putrefazioni, miasmi e malattie.
Gli “anticontagionisti” si battevano quindi (giustamente) per lavorare sui pozzi neri e sulla rete fognaria, anche se negavano l’interpretazione vera della malattia, quella “contagionista”. Perfino gli Stati si ispiravano a concezioni ora contagioniste (il Regno di Sardegna), ora anticontagioniste (la Francia e l’Imperial Regio Governo). A Londra vi fu però chi, “contagionista”, invece delle dispute provò a scendere sul piano delle evidenze: John Snow, medico londinese esperto soprattutto nella nascente anestesia con etere e cloroformio, ma con una mente da epidemiologo.
Nella parrocchia di St. James, West minster, infuriava il colera. L’indagine parrocchiale (le parrocchie avevano anche funzione di sorveglianza comunitaria) i spirandosi a Snow si concentrò su un pozzo d’acqua, cui fu portata via la mano vella e quindi fu tolto dall’uso pubblico.
Con l’interruzione della distribuzione di acqua si ebbe un netto calo dell’incidenza del colera, anche se in realtà l’evento avvenne nella fase calante dell’epidemia.
Qualche mese dopo si scavarono fino in fondo la pompa dell’acqua e la fogna e se ne dimostrò una comunicazione attraverso il terreno impregnato di liquame che scolava nel pozzo dal quale usciva acqua contaminata.
Forse si fu a un passo dalla identificazione dei vibrioni, che avvenne solo più tardi. Tom Jefferson, che i nostri lettori conoscono bene, ha tradotto, pubblicato integralmente in un elegante album e commentato a margine con una minuzia certosina “On the Mode of Communicating of Cholera” di Snow, pubblicato nel 1855.
La Londra di cui si parla è la Londra di Dickens, angosciante per i poveri, di cui Jefferson ci dà un quadro preciso ed efficace.
Il libro racconta una infaticabile ricerca del caso indice e delle modalità di trasmissione, partendo dalla bibliografia del tempo (in genere lettere di medici) e poi da indagini personali dalle quali Snow trae una prima conclusione: la trasmissione avviene da uomo a uomo e la fonte di diffusione è l’acqua. Una ulteriore dimostrazione, dopo la pompa infetta, vie ne data dal rapporto fra incidenza del colera e qualità dell’acqua di due diversi acquedotti londinesi.
Tom Jefferson fa notare come si sia trattato di un gigantesco trial a due bracci fra utenti dell’uno e dell’altro acquedotto. Snow dice che a seconda della qualità dell’acqua gli utenti dell’uno avevano 14 volte maggiori possibilità di contrarre il colera. La valutazione della mortalità non è fatta per numeri assoluti, ma per tassi /100.000 abitanti: il che era per allora una novità assoluta. Trasformato in statistica di oggi, quel “14 volte maggiore” è in effetti un odds ratio di 13,50 con IC 95% da 7,89 a 23,09. Era nato troppo presto questo Snow. Avercene oggi di tipi così!
Giancarlo Biasini
Circa le cause della malattia la maggioranza dei sanitari era “anticontagionista” e riteneva che i cattivi odori fossero causa di putrefazioni, miasmi e malattie.
Gli “anticontagionisti” si battevano quindi (giustamente) per lavorare sui pozzi neri e sulla rete fognaria, anche se negavano l’interpretazione vera della malattia, quella “contagionista”. Perfino gli Stati si ispiravano a concezioni ora contagioniste (il Regno di Sardegna), ora anticontagioniste (la Francia e l’Imperial Regio Governo). A Londra vi fu però chi, “contagionista”, invece delle dispute provò a scendere sul piano delle evidenze: John Snow, medico londinese esperto soprattutto nella nascente anestesia con etere e cloroformio, ma con una mente da epidemiologo.
Nella parrocchia di St. James, West minster, infuriava il colera. L’indagine parrocchiale (le parrocchie avevano anche funzione di sorveglianza comunitaria) i spirandosi a Snow si concentrò su un pozzo d’acqua, cui fu portata via la mano vella e quindi fu tolto dall’uso pubblico.
Con l’interruzione della distribuzione di acqua si ebbe un netto calo dell’incidenza del colera, anche se in realtà l’evento avvenne nella fase calante dell’epidemia.
Qualche mese dopo si scavarono fino in fondo la pompa dell’acqua e la fogna e se ne dimostrò una comunicazione attraverso il terreno impregnato di liquame che scolava nel pozzo dal quale usciva acqua contaminata.
Forse si fu a un passo dalla identificazione dei vibrioni, che avvenne solo più tardi. Tom Jefferson, che i nostri lettori conoscono bene, ha tradotto, pubblicato integralmente in un elegante album e commentato a margine con una minuzia certosina “On the Mode of Communicating of Cholera” di Snow, pubblicato nel 1855.
La Londra di cui si parla è la Londra di Dickens, angosciante per i poveri, di cui Jefferson ci dà un quadro preciso ed efficace.
Il libro racconta una infaticabile ricerca del caso indice e delle modalità di trasmissione, partendo dalla bibliografia del tempo (in genere lettere di medici) e poi da indagini personali dalle quali Snow trae una prima conclusione: la trasmissione avviene da uomo a uomo e la fonte di diffusione è l’acqua. Una ulteriore dimostrazione, dopo la pompa infetta, vie ne data dal rapporto fra incidenza del colera e qualità dell’acqua di due diversi acquedotti londinesi.
Tom Jefferson fa notare come si sia trattato di un gigantesco trial a due bracci fra utenti dell’uno e dell’altro acquedotto. Snow dice che a seconda della qualità dell’acqua gli utenti dell’uno avevano 14 volte maggiori possibilità di contrarre il colera. La valutazione della mortalità non è fatta per numeri assoluti, ma per tassi /100.000 abitanti: il che era per allora una novità assoluta. Trasformato in statistica di oggi, quel “14 volte maggiore” è in effetti un odds ratio di 13,50 con IC 95% da 7,89 a 23,09. Era nato troppo presto questo Snow. Avercene oggi di tipi così!
Giancarlo Biasini