Le decisioni della politica, del medico e del cittadino (e dei media…)
- 11 Ago 2017 alle 09:03:26
Antonio Clavenna e Maurizio Bonati, Dipartimento di salute pubblica, Irccs – Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, Milano
[ articolo pubblicato su FORWARD ]
Il 2017 potrebbe essere ricordato come l’anno dell’obbligo vaccinale, anche se il processo di intensificazione delle misure coercitive, nato in risposta alla diminuzione delle coperture vaccinali, è iniziato prima: nel novembre 2016 la Regione Emilia-Romagna aveva introdotto l’obbligo delle vaccinazioni contro difterite-tetanopertosse ed epatite B per l’accesso ai nidi e ai servizi per l’infanzia, e il comune di Trieste aveva approvato un provvedimento simile estendendo l’obbligo anche alle scuole per l’infanzia. Successivamente altre regioni hanno iniziato a discutere l’introduzione dell’obbligo per l’accesso ai nidi (per esempio, Marche, Toscana, Puglia e Lombardia), finché il 7 giugno è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto legge n. 73 “Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale” che considera un aumento da 4 a 12 delle vaccinazioni obbligatorie, introduce l’obbligo vaccinale per l’accesso a nidi e scuole per l’infanzia, e prevede un inasprimento delle sanzioni amministrative (fino a 7500 euro) per i genitori che rifiutano la vaccinazione per i propri figli. La decisione della politica a livello nazionale e di molte regioni è stata, quindi, orientata all’inasprimento delle misure coercitive.
Nel 2014 il gruppo di esperti chiamato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a redigere un rapporto sull’esitazione vaccinale, pur riconoscendo che in alcuni paesi l’obbligo ha contribuito a un aumento delle coperture, raccomandava di valutare con grande attenzione e cautela l’introduzione di misure coercitive che possono avere conseguenze negative, tra queste minare la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e degli operatori sanitari [1].
Il punto cruciale non è l’obbligo
Tra le raccomandazioni del gruppo di esperti troviamo: “Addressing vaccine hesitancy within a country and/or subgroup requires an understanding of the magnitude and setting of the problem, diagnosis of the root causes, tailored evidence-based strategies to address the causes, monitoring and evaluation to determine the impact of the intervention and whether vaccine acceptance has improved, and ongoing monitoring for possible recurrence of the problem” [1].
Comprendere l’entità del problema, identificare le cause profonde, attuare strategie su misura basate sulle evidenze, monitorare e valutare l’impatto dell’intervento e se l’accettazione dei vaccini è migliorata: è stato fatto o si farà?
Nel dibattito pubblico non è stata esplicitata alcuna di queste valutazioni, a partire dall’analisi della riduzione delle coperture vaccinali, che è stata generalizzata a un calo allarmante in grado di far ricomparire malattie eliminate da tempo, nonostante la riduzione della percentuale di vaccinati fosse consistente solo per alcune vaccinazioni, come il morbillo (da 90,6 a 85,3 per cento tra il 2012 e il 2015), per il quale il problema è però rappresentato dal mancato raggiungimento e mantenimento del 95 per cento di vaccinati più che dal calo in sé. Per le quattro vaccinazioni obbligatorie la diminuzione è stata meno rilevante (da 96,1 al 93,4 per cento) e le coperture, pur ridotte, erano comunque sufficienti a evitare il verificarsi di epidemie; per altre ancora (meningococco) si osservava, invece, un aumento nel tempo del ricorso alla vaccinazione. Non è stato, inoltre, considerato il fatto che le coperture a 36 mesi indicavano un recupero nella percentuale di vaccinati e che i dati del 2016 mostravano un arresto se non un’inversione di tendenza (morbillo) del calo.
Le scelte politiche spesso hanno un orizzonte temporale breve e richiedono risultati visibili in breve tempo.
Con l’unica eventuale eccezione del morbillo (emergenza cronica e nota da tempo), non si trattava quindi di una situazione di urgenza ma, al contrario, c’era il tempo necessario per valutare possibili strategie orientate alla comunicazione, al coinvolgimento, alla persuasione. Ma le scelte politiche spesso hanno un orizzonte temporale breve e richiedono risultati visibili in breve tempo.
L’esitazione vaccinale è un fenomeno complesso, ed è errato ritenere che tutti i genitori che non vaccinano lo fanno perché contrari alle vaccinazioni. Stando alle indagini condotte anche in Italia, i veri e propri anti-vaccini rappresentano circa il 3 per cento dei genitori, mentre una quota più ampia (10-15 per cento) è costituita dagli esitanti, genitori che nutrono dubbi e timori, che ritardano le vaccinazioni e/o le effettuano solo in parte, che potrebbero essere persuasi attraverso l’ascolto e la rassicurazione [2]. Vi sono, poi, genitori che faticano ad aderire alle indicazioni del calendario vaccinale per problemi di tipo organizzativo, legati anche all’accesso ai servizi.
Da questo punto di vista, l’obbligo vaccinale appare una risposta semplicistica, che sembra ignorare una complessità che richiede invece interventi multimodali (“There is no single intervention strategy that addresses all instances of vaccine hesitancy” è un’altra raccomandazione degli esperti sulla vaccine hesitancy dell’Oms, 1).
Le misure coercitive comportano alcuni rischi:
- ridurre una fiducia già compromessa verso i medici e le istituzioni, come sottolineato dagli esperti dell’Oms [1],
- polarizzare maggiormente le posizioni e le contrapposizioni (accrescendo la confusione) e aumentare i contenziosi,
- spostare i genitori esitanti verso una maggiore contrarietà [3].
Anche in questo caso, nel dibattito politico è mancata la valutazione delle possibili ricadute negative, che potrebbero avere effetti a lungo termine e non solo sull’accettazione delle vaccinazioni. Inoltre, abbiamo documentato sulla base dei dati Istat, effettuando una simulazione sulla base dei dati della Regione Emilia-Romagna, che l’obbligo per l’accesso ai nidi nella situazione italiana sembra avere un impatto modesto se non irrilevante, lasciando una quota di bambini dai zero ai tre anni non vaccinati e con il rischio concreto che si creino nidi frequentati da soli non vaccinati, che potrebbero rappresentare piccoli focolai epidemici [4].
In generale, nella decisione di inasprire le misure coercitive e di introdurre l’obbligo per nidi e scuole dell’infanzia è mancato il rendere conto in maniera trasparente ai cittadini:
- delle motivazioni del provvedimento,
- degli obiettivi,
- delle priorità,
- della strategia complessiva,
- della valutazione dell’impatto sull’organizzazione scolastica e dei servizi vaccinali,
- dei risultati attesi,
- del monitoraggio.
Il provvedimento adottato non fa riferimento alla vaccinazione degli adulti, che per le malattie a elevata contagiosità (morbillo, parotite) è essenziale per garantire il controllo o l’eliminazione e per garantire la tutela dei più vulnerabili; in mancanza di un obbligo per gli operatori sanitari rischia di rendere poco accettabile quello per i genitori.
Alla ricerca delle motivazioni della scelta
Anche la scelta dei vaccini obbligatori non appare adeguatamente motivata. Sono stati inseriti 12 dei 14 vaccini previsti dal Piano nazionale per la prevenzione vaccinale 2017-2019 per l’infanzia. Vaccini differenti tra loro, in termini di efficacia, di durata della copertura, di epidemiologia, contagiosità e severità delle malattie prevenibili. Nella circolare del Ministero della salute del 12 giugno 2017 il razionale del provvedimento è così descritto: “rendere obbligatorie le vaccinazioni nei confronti di malattie a rischio epidemico, al fine di raggiungere e mantenere la soglia di copertura vaccinale del 95 per cento, come raccomandato dall’Oms per garantire la cosiddetta ‘immunità di gregge’”; per alcuni vaccini che garantiscono una protezione prevalentemente o esclusivamente individuale (per esempio, il tetano e l’epatite B) il rischio epidemico è, però, pressoché inesistente, mentre la soglia del 95 per cento di copertura vaccinale per garantire la herd immunity vale solo per le malattie a elevata contagiosità [5]. L’obbligo vaccinale per l’accesso al nido e alla scuola dell’infanzia presuppone la necessità di tutelare la salute della comunità scolastica che non è messa a rischio da malattie non o poco contagiose (tetano, epatite B, malattie invasive da meningococco).
Il messaggio che tutti i vaccini sono efficaci e sicuri, tutti sono essenziali, seppure vero appare eccessivamente semplicistico per molti genitori.
Le scelte operate nei calendari di vaccinazione (vaccini, età, tempi di somministrazione, richiami, cosomministrazioni) sono spesso complesse e scarsamente comprensibili per i genitori. La percezione del rischio varia per le malattie prevenibili, così come quella riguardante la sicurezza del vaccino. Gli andamenti delle coperture vaccinali negli ultimi anni testimoniano come la percezione del rischio meningite è decisamente maggiore della sua incidenza e contagiosità e i vaccini anti-meningococco appaiono maggiormente accettabili, mentre al contrario per il vaccino contro morbillo-parotite-rosolia persiste il timore dell’autismo, nonostante numerosi studi abbiano documentato come non vi sia associazione tra i due. Il messaggio che tutti i vaccini sono efficaci e sicuri, tutti sono essenziali, seppure vero appare eccessivamente semplicistico per molti genitori.
L’obbligatorietà per 12 vaccini potrebbe evitare il rischio che i vaccini raccomandati ma non obbligatori vengano percepiti come meno rilevanti (ma pneumococco, rotavirus e hpv sono esclusi dall’obbligo), ma non favorisce la consapevolezza dei cittadini sulle vaccinazioni. È la richiesta di una delega pressoché totale ed esclusiva, il ritorno a una visione paternalistica della medicina che si pensava superata: l’istituzione/il medico conoscono che cosa è bene per il cittadino e possono decidere al suo posto.
Occorre fare il possibile per recuperare la fiducia, incominciando da un confronto trasparente e sereno sulle ragioni e il merito delle decisioni prese.
Un virus mediatico
Anche i mass media cosiddetti “tradizionali” non hanno contribuito nell’aiutare i genitori a decidere in modo consapevole, diffondendo un’informazione spesso superficiale e orientata al sensazionalismo. Non l’hanno fatto in passato dando spazio anche a tesi e posizioni non basate sulle evidenze scientifiche, mentre negli ultimi mesi hanno concorso prima all’allarme meningite dando origine a quella che i ricercatori dell’Istituto superiore di sanità hanno definito “epidemia mediatica” e contribuendo ad aumentare il carico di lavoro dei servizi vaccinali, poi alla narrazione del morbillo come a un’epidemia mai osservata in precedenza, sposando infine la tesi dell’obbligo come una necessità urgente di fronte a tale emergenza. Molti giornalisti hanno abdicato al ruolo di informare in maniera rigorosa: pochi hanno evidenziato come epidemie di morbillo simili a quella osservata nei primi sei mesi del 2017 si sono verificate pochi anni fa (nel 2010-2011), pochi hanno sottolineato come l’epidemia attuale è in parte dovuta alla mancata attuazione delle strategie di recupero alla vaccinazione degli adolescenti e degli adulti suscettibili (molti dei quali nati quando il vaccino antimorbillo non era ancora un intervento consolidato e diffuso) o hanno chiesto alla politica di essere trasparente nel chiarire le ragioni delle scelte operate.
La fiducia è un aspetto fondamentale nel rapporto tra cittadini/pazienti e istituzioni/ operatori sanitari/operatori dell’informazioni. Come sottolineato dagli esperti dell’Oms, l’incrinarsi di questo rapporto di fiducia è un rischio da valutare con estrema attenzione. Il dibattito che si è sviluppato negli ultimi mesi nel nostro paese, con posizioni estremamente polarizzate e con discussioni che raramente sono entrate nel merito del problema, rischia di aumentare la diffidenza e il divario tra comunità scientifica e società.
L’articolo riguarda la versione iniziale del decreto legge 73/2017. Questa è stata modificata nel corso dell’esame da parte del Senato, con la riduzione a dieci dei vaccini obbligatori e delle sanzioni previste (il massimo nella versione approvata dal Senato e in votazione alla Camera è di 500 euro).
Bibliografia
[1] World health organization. Report of the Sage working group on vaccine hesitancy. Pubblicato il 12 novembre 2014. [2] Valsecchi M, Speri L, Simeoni L, Campara P, Brunelli M (a cura di) Regione Veneto. Indagine sui determinanti del rifiuto dell’offerta vaccinale in regione Veneto. Rapporto 2011 [3] Leask J, Danchin MJ, Leask J, Danchin M. Imposing penalties for vaccine rejection requires strong scrutiny. Pediatric Child Health 2017;53:439-44 [4] Clavenna A, Bonati M. Obbligo vaccinale e potenziale impatto per l’accesso ai servizi per l’infanzia. Ricerca&Pratica 2017;33:102-11 [5] Fine PE. Herd immunity: history, theory, practice. Epidemiol Rev 1993;15:265-302.