Aria più pulita, polmoni più grandi
- 30 Apr 2015 alle 10:51:05
a cura di Giuseppe Primavera
Nella seconda metà del ventesimo secolo Los Angeles ha avuto, tra le maggiori città degli Stati uniti, il più alto livello di inquinamento dell’aria, dovuto alla notevole concentrazione di autoveicoli e industrie, al porto e alle particolari condizioni climatiche della città. Precedenti studi avevano dimostrato l’effetto negativo dell’inquinamento sulla funzione polmonare, a sua volta associata con un aumentato rischio di asma nel bambino. Erano già noti anche i potenziali effetti avversi a lungo termine della ridotta funzionalità polmonare nell’adulto: maggiore rischio di malattie cardiovascolari e minore aspettativa di vita. Non erano stati ancora ben valutati i benefici di una riduzione dell’inquinamento sulla salute respiratoria. L’ingravescente inquinamento ambientale ha indotto le autorità californiane ad adottare misure sempre più stringenti sul traffico veicolare, che ha prodotto una notevole riduzione dei livelli di biossido di azoto e particolato (PM2,5 e PM10). In questo studio Gauderman ha dimostrato una consistente associazione tra riduzione dell’inquinamento aereo e crescita della funzione polmonare nei bambini reclutati nel 1993, 1997 e 2003. Naturalmente, una associazione non dimostra un nesso di causalità, ma la consistenza e la ripetitività dei risultati nelle tre diverse coorti è stringente. Inoltre i ricercatori hanno minimizzato i possibili fattori confondenti. Tuttavia non si può escludere che siano sfuggite delle differenze nelle caratteristiche delle popolazioni studiate; infatti la crescita della funzione polmonare e i potenziali confondenti sono stati studiati nel singolo bambino, mentre le esposizioni sono state misurate sulla media della popolazione. Tali studi sono definiti “semi-individuali”, essendo le esposizioni variabili. Alcuni (i soliti fautori dell’aumento del PIL a tutti i costi?) hanno argomentato che i consistenti miglioramenti della qualità dell’aria ottenuti negli ultimi 40 anni sono sufficienti a proteggere la salute pubblica, e che ci sono scarse evidenze a supporto di misure più rigorose. Ma questo studio e altri suggeriscono che ulteriori miglioramenti della qualità dell’aria potrebbero generare ancora benefici nella salute pubblica, anche quando i livelli degli inquinanti sono all’interno dei range ritenuti sicuri dalle attuali normative. E in Italia? Risposte esaurienti sono contenute nel poderoso X Rapporto sulla Qualità dell’Ambiente Urbano pubblicato dall’ISPRA nel 2014. https://www.isprambiente.gov.it/public_files/X%20Rapporto_completo_corretto.pdf Nel periodo 1990-2012, le emissioni delle sostanze inquinanti considerate mostrano generalmente una tendenza al ribasso; l’andamento nel tempo delle emissioni nazionali è stato influenzato principalmente dalle riduzioni nel settore industriale e dei trasporti stradali, grazie all’implementazione di varie direttive europee che hanno introdotto nuove tecnologie e limiti di emissione degli impianti, la limitazione del contenuto di zolfo nei combustibili liquidi e il passaggio a carburanti più puliti. Anche il miglioramento dell’efficienza energetica e la promozione delle energie rinnovabili hanno contribuito all’andamento decrescente delle emissioni. Considerando l’intero territorio nazionale, il settore energetico e industriale sono le principali fonti di emissioni in Italia, con una quota di oltre l’80%. Passando alle aree urbane la situazione cambia, poiché le emissioni sono dovute principalmente ai mezzi di trasporto e al riscaldamento. Scendendo più in dettaglio, l’andamento temporale delle emissioni di PM10 risulta quasi sempre in diminuzione; considerando le maggiori 73 città italiane si stima che le emissioni industriali e del traffico veicolare si siano ridotte, con un aumento di quelle da riscaldamento, risultando in una diminuzione complessiva dal 2000 al 2012 del 37%. A livello nazionale le emissioni di NOx mostrano un trend decrescente nel periodo 1990-2012, con un decremento pari al 58% dal 1990 e pari al 41% dal 2000. Per gli ossidi di zolfo, considerando le 73 maggiori città italiane le emissioni hanno subito una decrescita del 77% a partire dall’anno 2000. Anche le emissioni di monossido di carbonio mostrano un generale decremento del 55% rispetto al 2000, ma in 30 delle 73 città esaminate le emissioni di CO da trasporti stradali sono superiori alla media; le aree urbane con le emissioni più alte in valore assoluto sono Taranto, Roma e Milano. Per il benzene, l’analisi della serie storica delle emissioni derivanti dal trasporto stradale evidenzia una riduzione dell’82% dal 2000 al 2012. Per il PM2,5 il nuovo ordinamento prevede dal 1 gennaio 2015 un valore limite di 25 mcg/m3, che si ridurrà a 20 mcg/m3 entro il 1 gennaio 2020. I dati 2013 relativi a 48 aree urbane mostrano superamenti del valore limite annuale in gran parte delle città della pianura padana. In 33 aree urbane sono stati rilevati valori medi annuali uguali o inferiori a 20 mcg/m3 . Se dunque nella maggioranza dei casi ci troviamo in una situazione di sostanziale rispetto della Direttiva Europea 2008, diverso è lo scenario se consideriamo i valori indicati dall’OMS per il PM2,5 (10 mcg/m3 come media annuale). Si stima che, tra il 2009 e il 2011, il 96% degli abitanti delle città europee sia stato esposto a concentrazioni di particolato fine superiori a quelli indicati dalle linee guida OMS. Tornando allo studio di Gauderman, un decremento di 12,6 mcg/m3 del PM2,5 produceva, tra gli 11 e i 15 anni di età, un aumento del FEV1 di 65,5 ml e del FVC di 127 ml. Un esperimento in natura sui potenziali effetti benefici sulla salute di un miglioramento dei parametri ambientali. Buone notizie quindi: migliorare si può, si deve. Ma l’uomo è abbastanza restio al cambiamento, all’abbandono delle comodità conquistate; i dati ISPRA del 2013 dimostrano infatti che, in un giorno medio feriale il 65,8% degli spostamenti degli uomini avviene in automobile, il 15,6% con il trasporto pubblico e solo il 18,6% a piedi o in bicicletta; più virtuose le donne che per il 26,7% dei loro spostamenti utilizzano la modalità “dolce”. Occorrono urgenti investimenti per una mobilità urbana sostenibile (aree pedonali, piste ciclabili, bike sharing, estensione delle ZTL, potenziamento dei trasporti pubblici e parcheggi di scambio) e capillari campagne di informazione guidate da adeguate strategie di comunicazione del rischio, fin dalle scuola primaria. Cambiare si può.
Per approfondire:
:: Associazione della migliorata qualità dell’aria con lo sviluppo polmonare nel bambino
Nella seconda metà del ventesimo secolo Los Angeles ha avuto, tra le maggiori città degli Stati uniti, il più alto livello di inquinamento dell’aria, dovuto alla notevole concentrazione di autoveicoli e industrie, al porto e alle particolari condizioni climatiche della città. Precedenti studi avevano dimostrato l’effetto negativo dell’inquinamento sulla funzione polmonare, a sua volta associata con un aumentato rischio di asma nel bambino. Erano già noti anche i potenziali effetti avversi a lungo termine della ridotta funzionalità polmonare nell’adulto: maggiore rischio di malattie cardiovascolari e minore aspettativa di vita. Non erano stati ancora ben valutati i benefici di una riduzione dell’inquinamento sulla salute respiratoria. L’ingravescente inquinamento ambientale ha indotto le autorità californiane ad adottare misure sempre più stringenti sul traffico veicolare, che ha prodotto una notevole riduzione dei livelli di biossido di azoto e particolato (PM2,5 e PM10). In questo studio Gauderman ha dimostrato una consistente associazione tra riduzione dell’inquinamento aereo e crescita della funzione polmonare nei bambini reclutati nel 1993, 1997 e 2003. Naturalmente, una associazione non dimostra un nesso di causalità, ma la consistenza e la ripetitività dei risultati nelle tre diverse coorti è stringente. Inoltre i ricercatori hanno minimizzato i possibili fattori confondenti. Tuttavia non si può escludere che siano sfuggite delle differenze nelle caratteristiche delle popolazioni studiate; infatti la crescita della funzione polmonare e i potenziali confondenti sono stati studiati nel singolo bambino, mentre le esposizioni sono state misurate sulla media della popolazione. Tali studi sono definiti “semi-individuali”, essendo le esposizioni variabili. Alcuni (i soliti fautori dell’aumento del PIL a tutti i costi?) hanno argomentato che i consistenti miglioramenti della qualità dell’aria ottenuti negli ultimi 40 anni sono sufficienti a proteggere la salute pubblica, e che ci sono scarse evidenze a supporto di misure più rigorose. Ma questo studio e altri suggeriscono che ulteriori miglioramenti della qualità dell’aria potrebbero generare ancora benefici nella salute pubblica, anche quando i livelli degli inquinanti sono all’interno dei range ritenuti sicuri dalle attuali normative. E in Italia? Risposte esaurienti sono contenute nel poderoso X Rapporto sulla Qualità dell’Ambiente Urbano pubblicato dall’ISPRA nel 2014. https://www.isprambiente.gov.it/public_files/X%20Rapporto_completo_corretto.pdf Nel periodo 1990-2012, le emissioni delle sostanze inquinanti considerate mostrano generalmente una tendenza al ribasso; l’andamento nel tempo delle emissioni nazionali è stato influenzato principalmente dalle riduzioni nel settore industriale e dei trasporti stradali, grazie all’implementazione di varie direttive europee che hanno introdotto nuove tecnologie e limiti di emissione degli impianti, la limitazione del contenuto di zolfo nei combustibili liquidi e il passaggio a carburanti più puliti. Anche il miglioramento dell’efficienza energetica e la promozione delle energie rinnovabili hanno contribuito all’andamento decrescente delle emissioni. Considerando l’intero territorio nazionale, il settore energetico e industriale sono le principali fonti di emissioni in Italia, con una quota di oltre l’80%. Passando alle aree urbane la situazione cambia, poiché le emissioni sono dovute principalmente ai mezzi di trasporto e al riscaldamento. Scendendo più in dettaglio, l’andamento temporale delle emissioni di PM10 risulta quasi sempre in diminuzione; considerando le maggiori 73 città italiane si stima che le emissioni industriali e del traffico veicolare si siano ridotte, con un aumento di quelle da riscaldamento, risultando in una diminuzione complessiva dal 2000 al 2012 del 37%. A livello nazionale le emissioni di NOx mostrano un trend decrescente nel periodo 1990-2012, con un decremento pari al 58% dal 1990 e pari al 41% dal 2000. Per gli ossidi di zolfo, considerando le 73 maggiori città italiane le emissioni hanno subito una decrescita del 77% a partire dall’anno 2000. Anche le emissioni di monossido di carbonio mostrano un generale decremento del 55% rispetto al 2000, ma in 30 delle 73 città esaminate le emissioni di CO da trasporti stradali sono superiori alla media; le aree urbane con le emissioni più alte in valore assoluto sono Taranto, Roma e Milano. Per il benzene, l’analisi della serie storica delle emissioni derivanti dal trasporto stradale evidenzia una riduzione dell’82% dal 2000 al 2012. Per il PM2,5 il nuovo ordinamento prevede dal 1 gennaio 2015 un valore limite di 25 mcg/m3, che si ridurrà a 20 mcg/m3 entro il 1 gennaio 2020. I dati 2013 relativi a 48 aree urbane mostrano superamenti del valore limite annuale in gran parte delle città della pianura padana. In 33 aree urbane sono stati rilevati valori medi annuali uguali o inferiori a 20 mcg/m3 . Se dunque nella maggioranza dei casi ci troviamo in una situazione di sostanziale rispetto della Direttiva Europea 2008, diverso è lo scenario se consideriamo i valori indicati dall’OMS per il PM2,5 (10 mcg/m3 come media annuale). Si stima che, tra il 2009 e il 2011, il 96% degli abitanti delle città europee sia stato esposto a concentrazioni di particolato fine superiori a quelli indicati dalle linee guida OMS. Tornando allo studio di Gauderman, un decremento di 12,6 mcg/m3 del PM2,5 produceva, tra gli 11 e i 15 anni di età, un aumento del FEV1 di 65,5 ml e del FVC di 127 ml. Un esperimento in natura sui potenziali effetti benefici sulla salute di un miglioramento dei parametri ambientali. Buone notizie quindi: migliorare si può, si deve. Ma l’uomo è abbastanza restio al cambiamento, all’abbandono delle comodità conquistate; i dati ISPRA del 2013 dimostrano infatti che, in un giorno medio feriale il 65,8% degli spostamenti degli uomini avviene in automobile, il 15,6% con il trasporto pubblico e solo il 18,6% a piedi o in bicicletta; più virtuose le donne che per il 26,7% dei loro spostamenti utilizzano la modalità “dolce”. Occorrono urgenti investimenti per una mobilità urbana sostenibile (aree pedonali, piste ciclabili, bike sharing, estensione delle ZTL, potenziamento dei trasporti pubblici e parcheggi di scambio) e capillari campagne di informazione guidate da adeguate strategie di comunicazione del rischio, fin dalle scuola primaria. Cambiare si può.
Per approfondire:
:: Associazione della migliorata qualità dell’aria con lo sviluppo polmonare nel bambino