La nostra mente professionale e il rapporto con i pazienti
- 30 Nov 2009 alle 22:31:00
Jerome Groopman
Cosa pensano i dottori
Mondadori, 2008
pp. 232, euro 17
Che il medico sia fallibile, lo sospettavamo, ma che le percentuali di errore medico potessero arrivare fino al 50% non lo avremmo mai pensato! Per convincerci dei nostri errori dovremmo leggere questo bel libro di Jerome Groopman, professore di medicina all’Università di Harvard e direttore di un dipartimento di medicina sperimentale a Boston. Per spiegare “come pensano i dottori” e come i medici creino da sé i loro errori, l’autore non utilizza il linguaggio medichese, ma si esprime in un vocabolario alla portata di tutti, perché il suo obiettivo è rendere consapevoli i pazienti. Ci impratichiremo così di errori percettivi e di errori cognitivi che sono sempre in agguato all’interno dei nostri ambulatori: errori di pensiero, spesso causati dalle emozioni interne del professionista. Emozioni che noi medici non ammettiamo e, forse, nemmeno riconosciamo. Esplorando nell’euristica peculiare della scienza medica, ci imbatteremo nel “commission bias”, nel “vertical line failure”, nel “search satisficing”, ma anche negli errori di paradigma, di attribuzione e di conferma. I “modelli di riconoscimento distorto” e la “teoria dell’utilità attesa” diventano così schemi mentali che rischiamo di utilizzare quotidianamente nel nostro ragionamento diagnostico così come sentimenti di simpatia o antipatia (ben lontani dall’empatia) alterano la nostra capacità percettiva e cognitiva. Molte pagine interessanti sulla medicina specialistica: “Who you see is what you get” (dimmi chi ti visita e ti dirò cosa hai), ma anche il riconoscimento dell’importanza e del valore della medicina di base. Degno di attenzione è un capitolo dedicato alla pediatria ambulatoriale e ai problemi che affliggono i nostri colleghi pediatri di oltreoceano: un possibile rischio anche per la nostra attività. Un libro da leggere non per diventare perfetti perché, come direbbe Shakespeare, la perfezione è nemica della bontà, ma per comprendere meglio la nostra “mente” professionale.
Costantino Panza