È il momento dei “lineaguidari”
- 14 Mar 2016 alle 17:43:46
Un articolo provocatorio, come spesso capita a Ivan Cavicchi, che offre spunto a diversi quesiti: a chi servono veramente le linee guida? Sono le Linee guida ad essere rigide, come sostiene Cavicchi, o è la cultura della qualità che andrebbe maggiormente diffusa? E come la mettiamo con la multidisciplinarietà del panel, quando le linee guida sono costruite da una società scientifica, che quasi per definizione è monodisciplinare? E le sanzioni?
Per approfondire
Linee-guida al GIN
Non vi è dubbio che soprattutto grazie al provvedimento sulla responsabilità professionale e al Dm sulla appropriatezza, le linee guida sono venute alla ribalta e con esse i lineaguidari cioè tutti i soggetti e gli interessi che legittimamente ad esse si riferiscono. Ma chi sono, e soprattutto, come la pensano i lineaguidari?
26 FEB [Quotidianosanità] - Il primo principio di Catalano: meglio fare un accordo buono che uno cattivo
Un buon accordo sull’appropriatezza tra Fnomceo sindacati e Ministero necessiterebbe che prima ci si accordasse su una definizione condivisa di appropriatezza da tradurre pragmaticamente in un protocollo applicativo.
In un articolo precedente ho riferito di ben 6 concezioni diverse di appropriatezza (Qs 5 ,maggio 2015). Quale delle sei? E se tutte e 6 fossero per qualche motivo inadeguate quale altra definizione è possibile?
Oggi il confronto sul Dm rischia di avvenire sulla base di una concezione arretrata di appropriatezza con delle vistose contraddizioni:
· nei confronti dell’autonomia professionale del medico,
· nei confronti del malato che al tavolo di confronto resta senza rappresentanza.
Per capire una idea diversa di appropriatezza che metta insieme in modo non contraddittorio metodo, regola ,autonomia e complessità e per capire come tradurla nella pratica vi invito caldamente a leggervi il capitolo “medicina amministrata” contenuto nell’eBook “La questione medica” .
Fidatevi non sarà una perdita di tempo.
In esso troverete soprattutto un tentativo, (non so se riuscito o meno), di volare un po’ più alto del senso comune ben sintetizzato dal Dm ,alla ricerca di uno spazio concettuale più adatto a trovare un accordo soddisfacente per tutti.
Gli obiettivi di fondo del Dm sono condivisibili ma non il modo come si intende raggiungerli. L’accordo quindi va trovato ma chi ci obbliga a farne per forza uno brutto?
Il brutto accordo per me è quello che mette il proceduralismo delle linee guida al servizio dell’economicismo incurante delle conseguenze sull’effettivo soddisfacimento delle necessità cliniche del malato.
Il buon accordo al contrario è quello che trova il modo di garantire compossibilità tra clinica economia e etica.
Secondo principio di Catalano: è meglio un medico bravo che un medico somaro
Nel mentre si cerca di fare un accordo sulla appropriatezza con il rischio come ho già detto di fare un brutto accordo non ci siamo resi conto che oltreoceano proprio sul proceduralismo quindi sulle linee guida negli ultimi anni si è aperta una ridiscussione che è arrivata a teorizzare con Obama una nuova alleanza “dalbasso” tra medici e malati definita Choosing Wiseley e subito fatta propria da Slow medicine per decidere ciò che convenzionalmente da noi si definisce ma “dall’alto” “appropriato.”
Lo dico ancora alla Fnomceo ma anche ai sindacati per invitarli, scusandomi per l’ insistenza, ad aggiornare le loro sciatte definizioni di appropriatezza e magari a prendere l’iniziativa senza essere costretti ad inseguire decreti e umiliazioni.
La ridiscussione in USA è stata promossadall’American Board of Internal Medicine Foundation (ABIM) in collaborazione con Consumer Reports e 9 autorevoli società scientifiche americane. Cioè sono i medici americani che su un imput politico grosso come una casa mettendosi d’accordo con i cittadini hanno preso l’iniziativa non altri.
Quale input politico? Choosing Wiseley , concretizzata dalla ABIM si ricollega alla riforma sanitaria di Obama che fa dipendere l’estensione delle tutele sanitarie dalla revisione dei costi della sanità. Cioè l’idea di ripensare il proceduralismo è dentro un progetto di riforma non dentro un sistema invariante a definanziamento garantito. Tutto si è poggiato su un accordo politico in base al quale ai medici americani è stata garantita invarianza di proventi per avere in cambio il loro appoggio . Mentre in Italia i medici bevono l’appropriatezza che passa la politica del definanziamento per poi arrabbiarsi se in nome di quella appropriatezza e di quel definanziamento il governo mette loro delle multe consegnandoli nelle mani dei lineaguidari
I lineaguidari (Qs 15 febbraio 2016).
Non vi è dubbio che soprattutto grazie al provvedimento sulla responsabilità professionale e al Dm sulla appropriatezza, le linee guida sono venute alla ribalta e con esse i lineaguidari cioè tutti gli interessi che legittimamente ad esse si riferiscono.
Ma chi sono i lineaguidari? Sono coloro che credono che per fare della buona medicina ma soprattutto per risparmiare soldi ci vogliono le linee guida, che producono linee guida e, che se non le producono, le insegnano e le applicano.
I principali lineaguidari sono le società scientifiche, Gimbe, Slow Medicine e altre fondazioni. Ciascuno di loro, pur con delle nuance, sono tutti fondamentalmente dei proceduralisti.
Slow Medicine ha condensato la sua strategia in un antinomia tra quantità e qualità (più non è meglio) difficile da comprendere perché mancando il parametro definitore cioè la definizione di medicina alla quale ci si riferisce, è difficile dire cosa sia peggio e dire cosa sia meglio, per di più si rischia l’equivoco economicistico cioè di far credere che ciò che è “meno” è “meglio”. Conoscendo l’idealità di Slow Medicine suggerisco solo, di fare più attenzione agli slogan.
Gimbe invece fonda le sue argomentazioni sul tema dell’autorevolezza scientifica, del rigore metodologico, del valore della trasparenza. Gimbe, in evidente concorrenza con le società scientifiche, sostiene che coloro che non sono “autorevoli” scientificamente e poco trasparenti producono linee guida scadenti e inaffidabili. Come dare torto a questo assunto?
Gimbe quindi non dice cose insensate ma dice anche che essa da sola è:
· autorevole,
· metodologicamente rigorosa,
· unica al di sopra degli interessi (a parte i suoi naturalmente).
Che dire? Non voglio entrare nelle logiche competitive tra lineaguidari e meno che mai nelle loro legittime ambizioni ma limitarmi ad esaminare il loro pensiero e il loro modo di pensare.
Il pensiero di Gimbe, ma anche di tutti gli altri lineaguidari, per uno come me che all’università si occupa di logica e di epistemologia della medicina, è quella di una concezione proceduralista rigorista nella quale le evidenze scientifiche e il metodo hanno un valore dogmatico e questo secondo la mia idea di medicina (il famoso parametro mancante) rispetto alla complessità clinica non va bene.
L’idea che, di Gimbe soprattutto e che in questo articolo prendiamo come una sorta di case study, ha della regola e del metodo per me non risolve anzi esaspera il vero problema che il negoziato sulla appropriatezza dovrà risolvere che è quello di trovare il modo di far coesistere:
· le “verità di ragione” del proceduralismo, quindi le famose evidenze scientifiche,
· le “verità di fatto” della clinica quindi le conoscenze accidentali, contingenti empiriche e singolari.
Le verità:
· delle linee guida sono convenzionali ex ante quindi decise non rispetto al caso clinico reale ma a tavolino,
· della clinica sono fattuali ad oculum e spesso smentiscono tanto l’evidenza che la regola per non parlare del rigore metodologico.
L’unico modo per mediare le verità di ragione e quelle di fatto è:
· pensare un medico in grado di usare la sua autonomia con responsabilità misurandola con i risultati che raggiunge (autore/ propriety),
· scommettere sulle sue capacità di servirsi tanto delle verità convenzionali che di quelle empiriche agendo in contesti e contingenze,
· definire in cosa consiste una scelta giusta e conveniente rispetto alla quale ricorrere alle linee guida come ausili ma senza riconoscere ad esse un ruolo vincolante.
Tutto questo vuol dire che:
· le linee guida debbono essere rispetto all’autonomia professionale uno strumento antidogmatico,
· si deve decidere se è il medico che dipende dalle linee guida o se sono le linee guida che dipendono dal medico.
Nell’atteggiamento dei lineaguidari vi è implicitamente:
· un atteggiamento fortemente scettico nei confronti delle capacità cliniche del medico,
· una svalutazione del valore dell’autonomia anzi l’autonomia è vista come problema.
Con la conseguenza di assumere il medico:
· a priori come una professione da mettere sotto tutela con un metodo ed una regola eteronoma,
· rispetto al metodo come un mero esecutore quindi una trivial machine.
Autorevolezza o autoritarismo?
La caratteristica del pensiero di Gimbe rispetto agli altri lineaguidari è enfatizzare la questione di come farele linee guida ancor prima di chi le fa èperché il suo terreno elettivo è il rigore metodologico quello che in altri saggi ho definito una forma di scientismo ovvero una medicina che in barba alla complessità viene ridotta a metodo e nulla più.
Ma scientismo quale rigorismo metodologico altro non è che una idea autoritaria di scienza alla quale sottomettere tanto il medico che il malato, la stessa idea che molti lineaguidari indicano blandamente con il termine “autorevolezza”:
· si parte con la gestione degli atti clinici, quindi del medico,
· si arriva alla gestione dei costi della cura, quindi del malato.
Per la logica quando Gimbe propone di passare da “chi fa” le linee guida a “come” le linee guida sono fatte, non fa null’altro che spostare l’attenzione da una fallacia ad un’altra, cioè dall’argumentum ad homini al così detto argumentum ad verecundiam :
· il primo per i logici è una fallacia perché fa dipendere la verità clinica(appropriatezza) da “chi” la dice (le società scientifiche ad esempio, o il grande luminare, o il premio Nobel, o il prestigioso istituto di ricerca),
· il secondo per i logici pure è una fallacia perché fa dipendere la verità clinica (l’appropriatezza) da “come” quindi dagli argomenti dell’autorevolezza del metodo, o dai criteri della meta-analisi, o dal grado di scientificità, ecc.).
Ma rispetto alla verità complessa della clinica entrambi, per la logica, sono verità fallaci, cioè entrambi davanti al “caso” complesso hanno una significativa probabilità di implausibilità. Cioè la complessità in clinica almeno secondo la mia idea di medicina (il parametro mancante) è tale da smentire anche la verità del premio Nobel o del metodo più rigoroso.
Faccio appena notare che spesso il vero ragionamento che fanno soprattutto i lineaguidari in competizione con le società scientifiche è autopromozionale: si tenta di spostare l’attenzione dalle società scientifiche al metodo e alla trasparenza ma per proporsi attraverso il metodo e la trasparenza quale autorità scientifica:
· se chi rispetta il metodo è il lineaguidaro migliore,
· allora il lineaguidaro rigorista è il migliore.
Ma l’espressione “il lineaguidaro rigorista è il migliore” quindi le sue linee guida sono migliori delle altre ,è a sua volta un argomentum ad homini quindi a sua volta fallace.
Terzo principio di Catalano: è meglio la verità che la menzogna
Secondo i lineaguidari, nessuno escluso, il clinico dovrebbe inchinarsi acriticamente difronte a delle linea guida che per come sono fatte soprattutto perché rigorosamente rispettose di un metodo propendono per esprimere comunque significativi gradi di implausibilità. Oltretutto indifferenti al rischio di ridurre i medici ad un parco di trivial machine e i malati ad uno stoccaggio di organi malati come i magazzini di Ikea a comparti numerati.
Il discorso sul metodo, invocato in particolare da Gimbe ma non solo, è quindi un discorso complesso e per certi versi paradossale. Oggi dopo un dibattito epistemologico sulla scienza che è durato per tutto il 900 il discorso sul metodo è andato ben oltre la visione proceduralista del positivismo cara a tutti i lineaguidari e ben oltre il verificazionismo falsificazionista di Popper.
Oggi le verità comprese quelle che noi definiamo “appropriatezza” pur senza disdegnare il supporto metodologico si stanno orientando verso soluzioni pragmatiste, contingentiste e ragionevolmente relativiste.
Il postulato sul quale i filosofi della scienza sono tutti d’accordo è il seguente: la verità scientifica anche in medicina cioè ciò che agli occhi di un medico rispetto ad un malato è scientificamente vero, giusto ,appropriato o adeguato... dipende da:
· come si conosce un malato,
· da chi conosce questo malato,
· dal contesto in cui si conosce.
Le conseguenze pratiche di questo postulato limitandoci al “chi conosce” sono presto dette:
· un conto è curare un malato con le linee guida quindi con un medico amministrato anche se con tanto di bollino,
· un conto è curarlo con un medico ippocratico che si serve anche “a suo giudizio” di linee guida,
· un conto è curarlo con un medico “autore” che garantisce propriety e compossibilità.
A partire da questo postulato (come, chi, dove) si tratta di ricollocare il discorso dell’appropriatezza oltre gli ambiti angusti del proceduralismo e misurarsi con una nuova sfida epistemologica che è quella, a fronte della complessità del “caso” di chiamare in causa più criteri di verità (ottimalità epistemica, ragionevolezza, buon senso, esperienza, evidenza, contingenza, risorse, metodo, ecc.).Mi rendo conto che ciò facendo saltano i sogni di Gimbe e dei lineaguidari ,ma per me il vero conflitto di interesse resta quello tra linea guida e malato cioè tra “come curare” e “necessità di cure”. Per cui non posso farci niente.
Ma se per curare bene abbiamo bisogno di più criteri di verità, il problema che si pone non sono le linee guida ma chi pensa il malato chi coordina e chi decide. Cioè chi dice l’ultima parola.
Quarto principio di Catalano: meglio un medico appropriato che un medico inappropriato
L’unico che può coordinare le tante verità che fanno la complessità del malato non è il lineaguidaro ma il medico che per come è adesso, lo dico tanto alla Fnomceo che al sindacato, non è attrezzato (non èpropriety), perché è stato formato ad un solo tipo di verità quella clinica per l’appunto e per di più in un modo epistemologicamente vecchio.
Già 16 anni fa con la “medicina della scelta” ho detto come la pensavo: tra togliere al medico la facoltà di scegliere perché no propriety e rimandare a scuola il medico per insegnargli a scegliere meglio io preferisco la seconda. Oggi come malato se io potessi scegliere tra un medico amministrato e un medico ippocratico sceglierei un medico neo-ippocratico e in nessun caso il medico con il bollino. Cioè sceglierei di scegliere chi è capace nel mio interesse in un contesto complesso di scegliere al meglio e che io testardamente definisco “autore”. I Iineaguidari ,cioè quelli tutto metodo e procedure, sono diametralmente all’opposto di questo ragionamento: sono loro che scelgono ciò che il medico cioè le trivial machine deve non scegliere.
Questo è il punto di differenza tra me e i lineaguidari a parte avere evidentemente idee completamente diverse di medicina scientifica. Per i lineaguidari l’unico vero autore è il metodo per me no.
Quinto ed ultimo principio di Catalano: è meglio scegliere anzichè essere obbligati
In conclusione e tornando all’accordo da fare sull’appropriatezza: il terreno teorico sul quale costruirlo è quello della cooperazione tra il convenzionalismo delle procedure e il pragmatismo delle pratiche partendo da un presupposto che i filosofi definirebbero “proeretico” (eretico è “colui che sceglie”):
· chi sceglie ciò che è meglio per un malato è il medico non la linea guida,
· se il medico non sa scegliere lo si rimanda a scuola,
· se sceglie male in modo ingiustificato lo si sanziona anche duramente se sceglie bene lo si premia.
Sulla base di questi presupposti personalmente un accordo con il ministero lo farei ma in nessun caso avallerei una politica proceduralista di stampo autoritario che si basa sulla amministrazione della scelta cinica.
Ivan Cavicchi
26 febbraio 2016 © Riproduzione riservata
