Il caso di Nancy Olivieri ricercatrice onesta
- 04 Gen 2008 alle 11:34:00

The drug trial.
Nancy Olivieri and the Science Scandal that rocked the Hospital for Sick Children
Random House
Canada, 2005
pp. 205, Can $ 34,95
Nell’editoriale dell’ottobre 1999 raccontammo, soli fra le riviste italiane, la storia di un conflitto di interesse di grande rilevanza etica: il caso di Nancy Olivieri versus Apotex.
Questa la storia: nel 1987 Olivieri progetta un trial per l’Apotex sul deferiprone, un chelante del ferro da sperimentare sui bambini talassemici. Il grosso vantaggio di questo farmaco sulla desferrioxamina è che può essere dato per bocca e non per via parenterale. Durante la sperimentazione si cominciò a manifestare un effetto secondario inatteso. Il sovraccarico di ferro nel fegato sembrava poco controllato, anzi il rischio di fibrosi epatica era alto.
Inoltre il farmaco produceva neutropenia nel 10% dei casi. La Olivieri informò pazienti e famiglie di questi possibili effetti sgradevoli. Apotex, appresa la notizia, sospese la sperimentazione e minacciò di denunciare la Olivieri per le notizie date. L’o spe dale presso cui la ricercatrice lavorava (Hospital for Sik Children) rifiutò di sostenere le spese legali perché la sperimentatrice non aveva comunicato al comitato etico i dati di tossicità; si era limitata, infatti, a produrre la documentazione della ditta. L’ospedale nominò una commissione per avere un giudizio su tutta la faccenda, ma poiché tale commissione era presieduta da un professore di un’università che aveva ricevuto dalla Apotex una donazione di 760.000 dollari canadesi, la Olivieri ne rifiutò il giudizio.
L’affare si imbrogliò ulteriormente quando la dottoressa pubblicò sul NEJM (1998;339:417) i suoi dati. L’Apotex la denunciò perché nel protocollo sottoscritto era contenuta la clausola della non pubblicazione in presenza di dati negativi. Giuridicamente aveva ragione. Eticamente era un disastro. Alla fine di tutta la storia il College of Physicians and Surgeons definì il comportamento della Olivieri come esemplare.
La vicenda era stata riferita in almeno tre libri di Autori molto autorevoli (Jerome Kassirer, Marcia Angel e Shel dom Krimsky). Un ultimo libro è uscito due anni fa a grande distanza dai fatti nel tentativo di intorbidare le acque con aneddoti della vita privata della Olivieri e dei suoi sostenitori e molto materiale “off the record”. Non si rinuncia insomma a cercare di demolire la personalità umana di chi si è comportato correttamente neppure dopo la chiusura di casi con giudizi definitivi.
Questa la storia: nel 1987 Olivieri progetta un trial per l’Apotex sul deferiprone, un chelante del ferro da sperimentare sui bambini talassemici. Il grosso vantaggio di questo farmaco sulla desferrioxamina è che può essere dato per bocca e non per via parenterale. Durante la sperimentazione si cominciò a manifestare un effetto secondario inatteso. Il sovraccarico di ferro nel fegato sembrava poco controllato, anzi il rischio di fibrosi epatica era alto.
Inoltre il farmaco produceva neutropenia nel 10% dei casi. La Olivieri informò pazienti e famiglie di questi possibili effetti sgradevoli. Apotex, appresa la notizia, sospese la sperimentazione e minacciò di denunciare la Olivieri per le notizie date. L’o spe dale presso cui la ricercatrice lavorava (Hospital for Sik Children) rifiutò di sostenere le spese legali perché la sperimentatrice non aveva comunicato al comitato etico i dati di tossicità; si era limitata, infatti, a produrre la documentazione della ditta. L’ospedale nominò una commissione per avere un giudizio su tutta la faccenda, ma poiché tale commissione era presieduta da un professore di un’università che aveva ricevuto dalla Apotex una donazione di 760.000 dollari canadesi, la Olivieri ne rifiutò il giudizio.
L’affare si imbrogliò ulteriormente quando la dottoressa pubblicò sul NEJM (1998;339:417) i suoi dati. L’Apotex la denunciò perché nel protocollo sottoscritto era contenuta la clausola della non pubblicazione in presenza di dati negativi. Giuridicamente aveva ragione. Eticamente era un disastro. Alla fine di tutta la storia il College of Physicians and Surgeons definì il comportamento della Olivieri come esemplare.
La vicenda era stata riferita in almeno tre libri di Autori molto autorevoli (Jerome Kassirer, Marcia Angel e Shel dom Krimsky). Un ultimo libro è uscito due anni fa a grande distanza dai fatti nel tentativo di intorbidare le acque con aneddoti della vita privata della Olivieri e dei suoi sostenitori e molto materiale “off the record”. Non si rinuncia insomma a cercare di demolire la personalità umana di chi si è comportato correttamente neppure dopo la chiusura di casi con giudizi definitivi.
Giancarlo Biasini